Le Transition Towns

Bando al consumismo e privilegio al comunitarismo dei beni essenziali
La visione di una città resiliente, autosufficiente e sostenibile

di Amne

Se avesse saputo come sarebbe andata, non avrebbe dato vita al polipropilene, commercialmente Moplen. Giulio Natta premio Nobel per la chimica nel 1963 ha scoperto la reazione di sintesi per produrre quella plastica entrata in tutte le cucine occidentali. Dopo secoli di onorato servizio, vasetti di vetro, terrine, scolapasta, contenitori di alluminio, attrezzi in legno e ottone dovettero cedere alla praticità, ai costi più bassi, ai colori del nuovo materiale, alla frenesia e al rinnovamento dei tempi.

Imballaggi in genere, oggetti di varie fogge, indumenti, cibi confezionati, giocattoli, farmaci ecc. ogni oggetto che ci passa in mano e ogni azione che compiamo sono accompagnati dai successori del Moplen. Questa la parte buona. La cattiva è che gli scarti macroscopici finiscono nei boschi, sui marciapiedi, nei mari. La sbornia consumistica e la cattiva educazione sono all’origine di vere e proprie isole galleggianti negli oceani estese tanto quanto una regione.

Al peggio, quelli non visibili intasano l’ acqua, i cibi, i nostri organi. Il risultato? Sono quasi impossibile da espellere. Non esiste plastica che non ceda porzioni microscopiche, nonostante le raccomandazioni della legge.

Ci sono dei ricercati per questi delitti, però l’incriminato numero uno è il petrolio.

L’economia del mondo industrializzato negli ultimi 150 anni è stata sviluppata sulla grande disponibilità di energia a basso prezzo da fonti fossili: carbone fossile, petrolio, gas. Più in generale il sistema di consumo si fonda sul punto che le risorse a disposizione siano infinite.

Le conseguenze più evidenti di questa politica sono il riscaldamento globale e il picco delle risorse, prime tra tutte il petrolio, una combinazione dalle ricadute sulla vita degli esseri viventi. Ci sono molti altri effetti che si sommano a questi, inquinamento, distruzione della biodiversità, iniquità sociale, mancata ridistribuzione della ricchezza, ecc. Sul riscaldamento globale non dovremmo spararci addosso o autoflagellarci come unici responsabili. A parziale discolpa ci conforta sapere che nel 1100 in Inghilterra si coltivava la vite, dal 1400 fino al 1850 la “piccola glaciazione” ha portato il livello dei ghiacci stabili polari a coprire l’intera penisola scandinava. La domanda che viene spontanea è quanto abbia influito l’uomo su queste variazioni repentine. Non cantiamo

nemmeno vittoria, se il riscaldamento non è solo farina del nostro sacco, tutti gli altri parametri negativi ce li dobbiamo accollare. Comunque sia o di chi sia la responsabilità ne va della nostra salute per cui dovremo rimboccarci le maniche. Non sta solo alle istituzioni fare qualcosa. Il punto chiave è che non dobbiamo demandare ad altri il problema della nostra salute.

Quest’olio nero a volte bituminoso, miscela di gas, liquidi e solidi estratto dalle viscere di Madre Terra, straordinariamente ricco di energia ha pervaso il mondo, tramite i suoi derivati. I combustibili fossili sono detti l’antica luce del sole.

L’Oro nero è la fortuna commerciale di società che lo estraggono, lo vendono, lo raffinano e lo rivendono trasformato in carburanti e materie plastiche. Ha origine dal plancton e dalle alghe dei fondali marini di un centinaio di milioni di anni fa. Per un litro di petrolio estrattivo occorrono 20 tonnellate di questo materiale organico. Queste azioni di estrazione, di commercio e utilizzo del prodotto finito sono il disastro per Mamma Terra e per gli esseri viventi, non ultimo l’uomo all’apice della catena alimentare. L’estrazione del famigerato oro nero parte dalla metà del 1800, però è stato superato il punto massimo di estrazione, da una quindicina di anni. Quello che si teme è il picco, o meglio il dopo picco, cioè la caduta verticale dell’estrazione petrolio per la fine delle risorse naturali.

Il picco del petrolio era di gran moda un decennio fa. I discorsi sul tema sono spariti, ma la cosa divertente è che il problema non è mai sparito, di sicuro è peggiorato.

Si sta avvicinando la fine dell’era del petrolio. Non pensiamo che la molla per un passaggio repentino verso tecnologie più pulite sia la sostenibilità per l’ambiente, si userà fino all’ultima goccia. Meramente parlando, sarà la convenienza economica del nuovo paradigma a porre la fine sicura dei combustibili fossili. Il gas metano, carbone stanno a far da compagnia, all’oro nero e sono ancora saldamente in testa sulle alternative. Tecnologie innovative per produzione di energia differenziata, sostenibili per l’ambiente, spesso boicottate, hanno difficoltà ad esprimersi. Si spacciano spesso soluzioni più speculative che effettive per uno sviluppo di energie alternative.

Chist’è o’ paese do’ ‘sole e non abbiamo generatori fotovoltaici sul tetto di ogni casa. Per dire, la Germania ci supera in produzione di energia elettrica derivata da fotovoltaico.

Occorre un passaggio non tanto di tecnologie già disponibili, quanto di approccio mentale. Occorre una visione di sviluppo non esclusivamente economico, ma compatibile con la salute e il benessere degli esseri viventi, Madre Terra in testa.

Un passaggio o una transizione culturale a garanzia della vivibilità. Processo strutturale indispensabile per il cambiamento del modello socioeconomico, con il passaggio dai combustibili fossili all’utilizzo di fonti energetiche diverse. Quindi una transizione energetica, dal sistema centrato sui combustibili fossili ad altre fonti rinnovabili a bassa o a zero emissione di fumi e particolati.

La fertilità delle menti è in continua elaborazione e alle belle parole e ai concetti filosofici c’è sempre un qualcuno che ama agire, piuttosto che parlare.

È il caso di Rob Hopkins, un attivista e scrittore inglese, specializzato in temi ambientali. È conosciuto soprattutto per essere il fondatore del movimento culturale Città di transizione,nato in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob, imperniato su quattro punti:

  1. l’inevitabilità di uno stile di vita a bassi consumi energetici sul quale è meglio adattarsi ed evitare di esser colti impreparati

2. le nostre città e le nostre comunità non sono pronte per affrontare lo shock energetico a seguito del picco del petrolio

3. dobbiamo agire collettivamente da subito

4. mettere insieme le menti che formano la nostra comunità per lavorare a progetti sulla riduzione dei consumi sociali.

Una visione comunitaria sociale ed economica dove la problematica del singolo diventa di tutti, dove c’è il riappropriamento della terra coltivata non col metodo tradizionale ma a permacoltura, metodo non intensivo per il fabbisogno della comunità. Comunità dove si fa uso di moneta locale quando non si accede al baratto. Un percorso a tappe di dodici passaggi di natura rigorosamente propedeutica a garantire il buon esito.

Ovviamente il rispetto dell’ambiente è il perno esecutivo della comunità. Se nel metodo convenzionale ognuno di noi è chiamato al compito, nella città di transizione sarà il comportamento collettivo il fulcro delle operazioni. Gruppi di pressione o forme di protesta vengono assimilati nella partecipazione collettiva di eco-psicologia, nella ridistribuzione di una informazione creativa su fondo artistico e d’innovazione culturale. L’uomo della strada bersaglio delle istituzioni diviene soggetto portatore di soluzioni. Interventi di ogni genere mai effettuati su singolo livello, ma in occhio “olistico” e comunitario. Lo sviluppo sostenibile convenzionale lascerà lo spazio alla resilienza strettamente collegata alla ridistribuzione delle risorse.

La resilienza è la capacità di un sistema di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi, durante il cambiamento in atto, in modo di mantenere essenzialmente la stessa funzione, identità e retroazione.

La resilienza è la via di riadattamento che non spersonalizza la persona ma tende a ripristinare il senso civico e umanitario degli esseri umani.

Applicabile in ogni aspetto della quotidianità della città in transizione, non permette il riciclaggio centralizzato, ma il compostaggio locale dei rifiuti; invece di piantare alberi ornamentali si opta per quelli produttivi; il cibo biologico è prodotto in comunità; i materiali edili ecosostenibili non vengono acquistati, ma sono ricavabili in comunità: ad esempio le pannocchie del mais o la canapa per la creazione della “PassivHouse” abitazione a basso impatto ambientale. Investimenti etici in loco concepiti su meccanismi tra le comunità e tramite una moneta locale; bando al consumismo e privilegio al comunitarismo dei beni essenziali.

Tutto ciò riassumibile nel concetto di “decrescita felice”.

Ai principi saldi, han fatto seguito decine e decine di iniziative nel mondo anglosassone europeo e non. Apripista è la cittadina di Kinsale, contea di Cork in Irlanda, popolazione di 2300 abitanti.

A gennaio del 2008 si contavano un centinaio di realtà dai 400 mila di Bristol, i 300 mila di Bouder, CO, USA, o i 9 mila Opotiki Coast, Nuova Zelanda. Kinsale da Wikipedia Transition Town Kinsale è un’iniziativa della comunità volontaria che lavora per contribuire alla transizione da una dipendenza dai combustibili fossili a un futuro a basse emissioni di carbonio. La nostra visione è una città resiliente, autosufficiente e sostenibile.

Ciò che è iniziato a Kinsale nel 2005 è ora diventato un movimento globale. Rob Hopkins, insegnante di permacultura al Kinsale Further Education College, ha prodotto con i suoi studenti il rivoluzionario Kinsale Energy Descent Action Plan, esplorando i modi in cui la comunità potrebbeprepararsi per il picco del petrolio. Una delle sue studentesse, Louise Rooney, ha iniziato a sviluppare il concetto di Transition Towns che ha portato alla storica decisione del consiglio comunale di Kinsale di adottare il piano.

Nel 2005 Kinsale è stata la seconda città d’Irlanda (dopo Clonakilty) a ricevere il titolo di Fair Trade Town. La città dove si esercita il commercio equo e solidale, fair trade in inglese.

Il commercio solidale ha lo scopo di garantire al produttore e ai suoi dipendenti un prezzo giusto, assicurando la tutela del territorio. Si oppone alla massimizzazione del profitto praticata dalle grandi catene di distribuzione organizzate dai grandi produttori. Carattere tipico di questo commercio è di vendere direttamente al cliente finale i prodotti, limitando la catena di intermediari.

Buona transizione a tutti.