Intervista. Devianza, carcere, detenzione, riabilitazione: 11 domande a Daniele Righini, psicologo del SerT presso la Casa Circondariale di Rimini

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Devianza, carcere, detenzione, riabilitazione
11 domande a Daniele Righini, psicologo del SerT presso la Casa Circondariale di Rimini

Perchè ha scelto questo particolare settore professionale?
La scelta è dovuta al caso. Dapprima ho accettato il posto per curiosità e poi, invece, ho continuato a farlo. Pur avendo ricevuto nel tempo diverse offerte, alla fine mi sono appassionato e sono rimasto.
A che cosa serve lo psicologo in carcere?
I ruoli dello psicologo in carcere un tempo erano vari. C’era quello che seguiva i tossicodipendenti, quello che si occupava dei definitivi e, infine, lo psicologo che valutava le probabilità di suicidio dei nuovi giunti – il cosiddetto “rischio suicidario”. Oggi, queste figure sono state assorbite un una unica che dipende dal 2006 direttamente dalla ASL.
Ovviamente questo comporta che quello che viene detto tra psicologo e carcerato rientra nell’ambito del segreto professionale.
Quanto serve il carcere? Che valore ha?
Il carcere, a livello per lo meno ideale, dovrebbe avere il compito di “sorvegliare e redimere” – e cioè aiutare il carcerato a progettare uno stile di vita differente. Ma è in parte una illusione, perché in realtà molti di loro hanno scelto di fare quello che fanno. Il rischio del carcere per loro è parte del gioco ed è difficile fargli cambiare idea. Ma non è così per tutti. Uno, che pure era
convinto e incontenibile nel suo modo di al di fuori della legge, mi disse, una volta: «Quelle sbarre sono lo strumento che mi impediscono di farmi del male». Nei rari momenti di lucidità, ammetteva l’utilità del carcere. Ma addirittura, un ragazzo che attualmente si trova in carcere per un reato che tutti sanno non aveva commesso, è arrivato a pensare che in fondo il carcere se lo è meritato perché a suo tempo ha accettato troppo superficialmente quello che gli stava capitando! Per altri ancora, lo stop causato dalla detenzione di per sé offre loro l’opportunità di riflettere. Invece, il carcere non serve quasi a nulla alle persone che commettono reati motivati esclusivamente dal possesso di denaro. Tuttavia, può capitare che qualcuno si renda conto di quanto i soldi rappresentino una pura illusione…
Considerando i detenuti che hanno commesso reati per procurarsi illegalmente denaro e che ha conosciuto, esiste secondo Lei un prezzo per il quale si può rischiare di perdere la libertà, o la vita?
Dipende dal prezzo che una persona dà alla propria esistenza. I carcerati, in effetti, evitano di attribuire un valore alla propria vita e vivono piuttosto alla giornata. Dunque, può valere la pena di rischiare la prigione per qualunque cifra. I cosiddetti colletti bianchi, al contrario, lo fanno solo per quantità ingenti di denaro. Per loro è spesso una questione di prestigio sociale, oppure di incontrollabile bisogno di possesso.
E’ possibile dire che chi ha commesso questo genere di reati ha scelto questa carriera e questa vita fino in fondo? O a volte qualche circostanza può averne influenzato i comportamenti?
In che senso si può parlare di “scelte”? Secondo me, in quanto psicologo, l’ambiente è sicuramente molto importante. E voglio dire l’ambiente sia familiare che sociale o il gruppo.
Talvolta le famiglie sono conniventi, se non addirittura colludono con il crimine, in quanto scusano, proteggono o persino favoriscono quel tipo di comportamento. Per quanto riguarda il gruppo, è risaputo che al suo interno ci si comporta secondo maniere che, da soli, quasi nessuno seguirebbe. Quindi, penso che l’ambiente sia fondamentale per determinare i valori e i modelli da seguire. Molto meno rilevanti sono gli aspetti biologici, di predisposizione genetica alla criminalità. Sì, ci sono i maschi XYY, i cosidetti individui supermaschili, ma è decisamente più importante il contesto sociale/familiare.
Nella vita in carcere, fra i detenuti recidivi, quanto incidono i soldi nell’avere rispetto?
Abbastanza. Il carcere è un luogo di disperazione. Lì costa tutto di più. Pur di avere quello di cui hanno bisogno, i detenuti sono disposti a farsi umiliare. Per una sigaretta uno può essere pronto a comportarsi esattamente come un cane! Generalmente, chi ha più denaro gode anche di più rispetto e riesce a sfruttare gli altri. Invece, non sono più tenuti in grande considerazione quelli che un tempo scrivevano le istanze… Oggi fanno tutto gli avvocati. C’è la convinzione che un bravo avvocato ti possa fare uscire prima. Anche lì ci sono le mode e ho visto avvocati passare come meteore e poi sparire rapidamente. Talvolta, un buon educatore scrive istanze migliori…
Cosa può far rinunciare un recidivo alla scelta della “bella vita” ad ogni costo?
L’esperienza! Quando le persone raggiungono una certa età… Noi ci comportiamo secondo un’immagine sopravvalutata di noi stessi, soprattutto in età giovanile, quando si è al massimo della condizione fisica e mentale. Ma con l’età, i primi acciacchi, molti hanno una pausa di riflessione e cominciano a capire che i loro desideri sono delle pure illusioni. Altri, però, non vogliono rendersene conto, non vogliono farsi domande e continuano come sempre. Uno di loro una volta mi ha confessato che, più della
droga, gli mancava l’adrenalina di quei momenti in cui, commetteva una rapina in banca, oppure si vedeva passare la Polizia mentre lui passeggiava con un etto di coca addosso. Tuttavia, non è raro che grazie ai problemi dell’età i detenuti scoprano nuovi valori, magari i piccoli piaceri della vita o cose come l’affetto di un figlio, che in precedenza disprezzavano. Sì, talvolta sono le bastonate della vita a farti cambiare idea!
Ha mai conosciuto dei “boss” di alto livello criminale?
Forse ne ho conosciuto uno, anche se in realtà non sapevo chi fosse. Ho incrociato alcuni criminali di un certo livello, ma più che altro ho avuto a che fare con i colletti bianchi, che potevano essere anche avvocati o comunque gente benestante. C’è da dire che quando i boss sono di una certa caratura, vengono messi nei supercarceri… Mi è capitato di incontrare, piuttosto, uno che era una sorta di “genio del male”, che aveva lo strano potere di manipolare gli altri detenuti. In un’occasione ricordo che riuscì addirittura a terrorizzare un altro carcerato a tal punto da spingerlo al suicidio, nonostante si trovasse… in un’altra prigione!
Aveva l’abilità di farsi raccontare qualunque cosa dagli altri, era estremamente intelligente.
Ma non mi volle mai parlare, ogni volta che mi incontrava, si girava dall’altra parte.
Qual’è il peggior reato in cui si è imbattuto nella sua carriera di psicologo in carcere?
I colpevoli di reati di omicidio, più di un centinaio, accaduti qui nella zona di Rimini, li ho incontrati quasi tutti. Anche pedofili e violentatori – e sono quelli secondo me i crimini più efferati, anche se in certi casi persino quei delitti potevano essere inquadrati secondo punti di vista diversi, più complessi. Però ricordo anche i più sfortunati, quelli a cui sono capitate così tante sfighe per cui fare il criminale era una conseguenza pressoché inevitabile. Sono coloro che si trovano in situazioni nelle quali, davvero, non c’è nessuna via di uscita…
Che detenuti sono quelli che si fanno la cella “bella”, con le tendine?

Beh, il carcere inevitabilmente spersonalizza. In quel modo chi sconta la pena cerca di rendere più vivibile la cella in cui si trova, soprattutto curando l’igiene. In carcere la cosa peggiore non è la limitazione della libertà, ma essere costretti a condividere gli spazi comuni con altri detenuti che non si sono scelti.
Può dire di essere riuscito a curare qualcuno dalla devianza, di averlo completamente riabilitato?
Svolgo un compito un po’ ingrato, perché incontro le persone soltanto in carcere. Per cui non posso avere mai la certezza di avere svolto un ruolo positivo… Nonostante questo, grazie al fatto di lavorare spesso presso il SERT, quando rivedo qualcuno che si ricorda perfettamente di quello che gli ho detto quando era dentro… allora capisco di avere inciso un po’. Anche quando li ritrovo nuovamente in prigione, capita spesso che ricordino frammenti di colloqui avuti con me in passato.

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